Pagine di storia dello Scautismo

ANTONIETTA GIACOMELLI
E LE SUE VOLONTARIE

 

La personalità di Antonietta Giacomelli – scrittrice e donna di apostolato civile e religioso, esponente del cattolicesimo non integralista – è ben nota. Legata ai vescovi conciliatoristi Bonomelli e Scalabrini, fu autrice, nel 1905, di un diffusissimo manuale di meditazione, Adveniat Regnum Tuum, che il S. Uffizio mise prontamente all'indice nel 1912.
Infatti la Giacomelli sosteneva idee allora considerate pericolose, come la partecipazione attiva dei fedeli al rito della Messa (che avrebbe desiderato veder celebrare in italiano), un maggior ruolo dei laici nella vita della Chiesa, l'autorità intesa come servizio, l'ecumenismo come universalità di salvezza anche al di fuori della Chiesa-istituzione.

La ricerca della Pisa (1) ha raccontato come il fallimento del gruppo dirigente romano dell’UNGEI convincesse dopo la guerra la presidente dell’UNGEI, Anna Maria Borghese de Ferrari, a trasmettere la direzione dell’Ente alla dirigente dell’unica sezione realmente funzionante, Antonietta Giacomelli di Rovereto. Ed è noto anche che, cogliendo lo spunto dalla conferenza scout internazionale di Parigi (luglio 1922), che stabilì che i due movimenti, maschile e femminile, dovessero essere interamente indipendenti - ma in realtà nell’intento di accentuare il distacco dall’ispirazione originaria dell’UNGEI - la Giacomelli mutò il nome dell'associazione in "Unione Nazionale Giovinette Volontarie Italiane" e prontamente predispose un nuovo statuto e regolamento. Oltre al termine di "volontarie" ("di quel servizio di Dio, della patria, della famiglia, dei fratelli, e di quella preparazione alla vita che sono i nostri scopi"), che applicò più specialmente alla branca intermedia - creò quelli di "primule" e di "fide" rispettivamente per la prima e la terza branca (il termine di “primule” rimase poi nell’UNGEI dopo l’ultima guerra). Le "scolte" (un termine che avrebbe avuto fortuna) erano invece nell’UNGVI le guide isolate, non inserite in una sezione, simili alle lone guides inglesi. Anche il motto delle volontarie, "servire", avrebbe avuto fortuna, divenendo nel dopoguerra il motto del roverismo dell’ASCI e dello scoltismo dell’AGI.

Anna Maria Borghese de Ferrari seguì con un certo disagio l’allontanamento dell’istituzione dall’originaria ispirazione laica e risorgimentale, ma, malgrado fosse pregata dalla stessa Giacomelli di rimanere, insistette nel dare le dimissioni e – fino alla sua morte nel 1924 - rimase a fianco della Giacomelli, finanziando in buona parte il Manuale (2) da questa pubblicato.

La "nonna" (come Antonietta amava firmarsi) assunse la guida dell’UNGVI come commissaria generale. In sostituzione della de Ferrari, essa cercò una Presidente con cui la sua forte personalità potesse andare d’accordo, e credette di averla trovata nella contessa Adelina Del Bono, moglie dell’ammiraglio Alberto Del Bono. Adelina era senza dubbio donna di capacità organizzative eccezionali, per dinamismo e per generosità.
Amica di don Brizio Casciola (altro personaggio notissimo del mondo assistenziale cattolico a cavallo del secolo) si impegnò dal 1898 a favore della sua “Unione del Bene”, e operò nel 1908-1909 a favore dei terremotati di Messina assieme a don Orione. Con Antonietta Giacomelli si erano forse conosciute dai tempi di don Brizio, ma la loro corrispondenza data dal 1904, ed attesta un’amicizia reale e solida.

Tuttavia, la scelta si rivelò una mala electio. Sorprendentemente, la Del Bono - che si fece molto pregare per assumere la Vice Presidenza, che doveva portarla poi alla Presidenza - non riuscì ad appassionarsi all’istituzione, cosa che le fu continuamente, e vivacemente, rimproverata dalla Giacomelli. Non inviò alcun saluto alle sezioni assumendo la Presidenza, fece solo brevissime visite ai due campi nazionali del 1925 e 1926, non fu insomma affatto una presenza. Dalla corrispondenza conservata solo unilateralmente (abbiamo solo le lettere della Giacomelli) si capisce che occorrevano due o tre lettere di Antonietta per estrarne una a Adelina.
Insomma, si trattò di un “caso Rospigliosi” al femminile. E quando, al momento dello scioglimento, nel febbraio 1927, fu inviata alle sezioni una lettera di commiato, essa portò due firme: Antonietta Giacomelli (“la nonna”), e Vittoria Fabrizi de Biani, che era la Commissaria Generale. Antonietta ne inviò copia a Adelina con qualche riga secca: “Non dubito troverai naturale [che] il tuo nome. non figuri. Tu avevi offerto più volte le tue dimissioni, ti eri sempre più allontanata da noi […]. Il tuo nome, quindi, sarebbe stata una finzione” (lettera del 13 febbraio 1927).
In queste condizioni è veramente notevole che le lettere della Giacomelli, così piene di sfoghi e di rimbrotti per l’inattività e passività di Adelina, siano state scrupolosamente conservate da quest’ultima. Si tratta di ben 88 lettere, di cui 6 posteriori allo scioglimento, che fanno parte di un amplissimo fondo Del Bono.
Da esse emerge, anzitutto, l’appassionata personalità della Giacomelli, in tutto conforme al ritratto che ne dette, anni dopo, don Primo Mazzolari:

Era schietta, trasparente e salda come un diamante, sceglieva sempre la via più diritta e la più aspra: conosceva soltanto il sì e il no, usandoli senza diplomazia, senza riguardo di persone, pronta però a ricredersi con generosa umiltà appena s'accorgesse di aver sbagliato o fatto soffrire.
Pari alla schiettezza e alla volontà ebbe l'ingegno, ch'ella seppe mettere a servizio della religione e della patria, in lei meravigliosamente congiunte. Solo la morte le ha tolto la penna dalle mani [...].
[Aveva] lo slancio di una Benincasa e la fierezza di un Tommaseo [...].
Antonietta Giacomelli è la donna più forte che io abbia conosciuto, la più distaccata e la più ferma, la più umile e la più fiera, la più operosa e la più povera .
(3)

E’ difficile comprendere come la Giacomelli potesse illudersi di dirigere da sola, a colpi di lettere manoscritte – senza un minimo di struttura, una segretaria, neppure una macchina da scrivere… - un movimento nazionale, per giunta operando da una città periferica come Rovereto. Si tenga presente che essa era già avanti negli anni – era nata, come B.-P., nel 1857 – anche se aveva un’invidiabile energia fisica, di cui diede prova nel campo nazionale sul Monte Grappa nel 1926 (in una notte vennero giù acqua e grandine e Antonietta tenne da sola, aggrappata al palo, una tenda che minacciava di abbattersi; e nella mattinata della rivista passata alle bandiere delle otto sezioni dal maresciallo Giardino, in simili condizioni meteorologiche, essa mise nella mano del maresciallo “una tutta bagnata, mentre lo guardavo attraverso gli occhiali velati di acqua: ma loro eran venuti in automobile, e noi a piedi, nella notte per i sentieri” (4). Nelle condizioni in cui si trovò, e vista la situazione fallimentare dell’UNGEI che si trovò a ereditare, è già un miracolo che lo scioglimento del 1927 trovasse qualcosa da sciogliere.

Dalle lettere della Giacomelli e dai numeri della rivista da lei fondata (prima rivista scout femminile italiana), "Sii preparata" - che, diretta ed in buona parte composta da lei stessa, uscì ogni due mesi dal 1924 al 1926 – si può ricavare l’elenco delle sezioni attive, che si possono contare sulle dita: oltre a quella di Rovereto e a quelle vicine di Verona, Trento e Riva del Garda – le più funzionanti, anche perché sottoposte a più diretta influenza di Antonietta – ne esistettero a Trieste, Firenze, Livorno, Sassari, Cagliari (ma si trattò in sostanza di un residuo UNGEI ad intonazione soprattutto ginnastica, che si chiuse nel 1924), Pistoia, e Pisticci in provincia di Potenza. All’estero vivacchiò e si chiuse la sezione del Cairo, mentre fu attiva fino allo scioglimento quella di Alessandria (sostanzialmente un altro residuo UNGEI). La sezione romana dell’UNGEI, che aveva vivacchiato a fasi alterne dal 1915, si chiuse definitivamente nel 1923, senza mai passare all’UNGVI. Oltre che da Roma, l’UNGVI rimase assente – malgrado ripetuti tentativi della Giacomelli – dalle grandi città: Milano, Torino, Genova. Gli effettivi totali dell’UNGVI sono valutabili, nel 1926, tra 300 e 400: ma forse più vicini alla prima cifra che alla seconda.

Diversamente dall’UNGEI, che si muoveva in un ambiente elitario e aristocratico, l’UNGVI cercò di muoversi in fasce piccolo-borghesi ed anche popolari. E, connesso con tale aspetto, fu la critica della Giacomelli alle parate, ai saggi ginnici, ai servizi prestati a feste aristocratiche, di beneficenza o meno, che erano state attività precipue della sezione romana dell’UNGEI.
E va notata, come elemento di modernità, la sua cura di tenere un rapporto con i genitori, basato su riunioni periodiche.
Sul piano delle strutture, la Giacomelli fece a meno di ingombranti comitati di personalità pubbliche (anche se nel 1923 ottenne il patronato di Mussolini, che rimase peraltro lettera morta) e si sforzò di eliminare l'asfissiante burocratismo originario dell'istituzione:

Ad un regolamento schematico e tassativo ho preferito sostituire alcuni capitoli regolamentari nei quali potere, largamente e in forma ragionata, esporre il nostro indirizzo e la nostra disciplina e anche lasciare la debita elasticità, ove la rigida imposizione sarebbe la lettera uccidente lo spirito(5) .

La Giacomelli - il cui padre aveva sofferto il carcere con i martiri di Belfiore e la cui madre era la nipote prediletta di Antonio Rosmini - diede al movimento un orientamento fortemente patriottico, incentrato sul culto dei caduti della Grande Guerra e sui pellegrinaggi sui luoghi del conflitto.
Per quanto concerne l’aspetto religioso, essa diede all’istituzione un’impronta ecumenica e democratica altrettanto lontana dall'iniziale laicismo dell'UNGEI quanto da un rigido confessionalismo.

L'istituzione non è confessionale né di colore. Ma l'impronta altamente cristiana e democratica del decalogo non può non avviare i suoi iscritti - qualora i preposti ne seguano fedelmente lo spirito - ad una concezione e ad una pratica della vita profondamente religiose, come alla formazione di sani e saldi convincimenti democratici e di un sentimento di solidarietà umana che superi ogni barriera e sappia fondere l'amore e la devozione alla propria fede e alla propria bandiera con l'amore dell'umanità (6).

Lo Scautismo, inteso non come uno sport, ma come una scuola di disciplina e di salute, morale anzitutto, di democrazia autentica, di fraterno altruismo, di bontà serena, di vita semplice e sobria, di praticità e di prontezza che fanno bastare a se stessi e aiutare il prossimo, ha uno spirito francescano che, o non viene inteso, o, inteso, troppo spesso dispiace e sgomenta (7).

Nell’UNGVI non vi erano Assistenti Ecclesiastici, ma bandiere ed insegne venivano benedette, si insisteva perché le volontarie la domenica, prima di riunirsi, ascoltassero la Messa, e ai campi si arrivò senza difficoltà alla Messa in comune. Antonietta stessa scrisse per le sue volontarie un libro di preghiere (8).

Per quanto riguarda i rapporti tra i due sessi, ovviamente non erano previste attività coeducative. Ma eventuali incontri coi ragazzi non erano affatto demonizzati, anzi in molti casi – p.es. nelle visite ai campi di esploratori cattolici o nazionali – furono accolte con simpatia, come occasioni di crescita. E per l’istituenda sezione di Milano – che non aprì mai i battenti – la Giacomelli accettò l’idea che un’istruzione tecnica potesse essere impartita da un Capo dell’ARPI, la piccola associazione del Perucci, con cui essa fu in contatto. Diversamente dall’UNGEI, che si muoveva in un ambiente elitario e aristocratico, l’UNGVI cercò di muoversi in fasce piccolo-borghesi ed anche popolari. E’ da notare che la Giacomelli si pronunciò anche a favore di un’educazione sessuale delle ragazze, sia pure intesa come informazione di base.

Difficile dire in che cosa consistessero, in concreto, il metodo e le attività dell’UNGVI. La sua ispirazione appare mescolare elementi innovativi e di pedagogia attiva con altri più tradizionali e conservatori. Certo, il riferimento della "nonna" fu, in teoria, lo scautismo di Baden-Powell, che essa conobbe verosimilmente tramite la traduzione di Scautismo per Ragazzi fatta da Mario di Carpegna. Ma, oltre ai campi – che organizzò con una deliberata intonazione militaresca – e a qualche uscita (con strada a piedi fatta anche sfidando intemperie) non pare di riscontrare giochi veri e propri, o tecniche come tracce, cucina (non è chiaro se fossero le volontarie a cucinare al campo), nodi, studio della natura, segnalazioni ecc. Un po’ di pronto soccorso, qualche esercizio ginnico, qualche attività donnesca (taglio e cucito…) condita con letture edificanti (diari di guerra) e soprattutto cura dei cimiteri e dei sacrari militari. Attività come queste furono svolte nei due campi della sezione di Rovereto, a Coni-Zugna (1920) e a Vallarsa, presso Rovereto (1922), e nei due campi nazionali di Folgaria, nel Trentino (1925) e del Monte Grappa (1926), a ciascuno dei quali presero parte una settantina di ragazze.

L'UNGVI allacciò anche rapporti internazionali, prendendo parte a un campo delle guide inglesi a Foxlease nel 1923, alla terza conferenza internazionale dello scautismo femminile sempre a Foxlease nel 1924 - dove presentò una relazione sull'educazione al patriottismo (9)- e alla quarta conferenza internazionale a New York nel 1926.

Le lettere rivelano anche l’atteggiamento della Giacomelli verso il fascismo. Atteggiamento, all’inizio, di grande speranza: nutrita nel culto della Grande Guerra, essa aveva visto con orrore episodi di reduci e ufficiali sbeffeggiati e insultati dalla reazione popolare post-bellica. Nessuna meraviglia che essa esclamasse di Mussolini: “Quale uomo provvidenziale, e quale prodigio ciò che è avvenuto! Io ho ferma fede che Dio lo assista realmente, perché non si perita di invocarlo”(10) . E’ quasi un’anticipazione della frase di Pio XI su “l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”, successiva alla Conciliazione.

Ben presto, però, le violenze fasciste le aprono gli occhi. Il delitto Matteotti è da essa definito “atroce misfatto”(11) . Il 9 marzo 1925 nota che “siamo tutt’altro che fasciste”(12) . Una settimana dopo teme che il segretario del Fascio di Rovereto, “ottimo giovane che era uno dei miei migliori amici”, influisca negativamente sulle sue richieste di aiuto al Governo, perché “mi ha fatto una scenata e non mi saluta più, per una parola mia antifascista in quanto li accusavo di violenza (e pour cause, mi pare!)”(13) . E il 5 novembre si sfoga con Adelina che il loro vecchio amico don Brizio, “in risposta ad una mia semplice allusione all’impossibilità che una sua amica capo fascista diventi una nostra dirigente – perché siamo agli antipodi – mi dice parecchie sciocchezze a strenua difesa del fascismo” (14).

Dopo l’approvazione della legge sull’ONB, addensandosi nubi nere su qualunque associazione giovanile non fascista, Antonietta ricevette una lettera del Capo Scout del CNGEI Villetti, “il quale mi scriveva che a Roma si dice, per quanto in via riservata, che tutte le associazioni scautistiche d’Italia verranno sciolte”. Antonietta osservò che le sembrava “impossibile [che] Mussolini voglia infliggere all’Italia l’umiliazione di essere – con la Russia bolscevica - una delle due sole nazioni del mondo nelle quali non è ammesso lo scautismo” (15) e volle correre ai ripari, scrivendo a Mussolini una lettera in cui – senza riferirsi al minacciato scioglimento – gli chiedeva un appoggio per il progettato campo nazionale del Monte Grappa, approfittando per sottolineare gli ideali patriottici dell’Unione (16).

L'UNGEI fu sciolta il 10 febbraio 1927 per ordine del segretario generale del PNF Augusto Turati. La Giacomelli prese commiato dalle sue sezioni con una nobile lettera:

"Avvezze alla disciplina, le nostre piccole schiere si scioglieranno in silenzio. Ma nessuna che – Dirigente, Istruttrice, Giovinetta – sia stata una vera Volontaria verrà meno, ne siamo sicure, allo spirito della nostra Unione, alla Legge […], alla nostra Promessa.
Se dovremo, con fiero dolore, ripiegare e riporre le nostre bandiere, esse rimarranno, fulgide sempre, dinanzi agli occhi nostri. Se non potrete più vestire la vostra austera divisa, la serberete quale cara e ammonitrice reliquia della vostra giovinezza. E se le maggiori fra voi, prossime a divenire aspiranti Fide, non potranno più fare in comune la Promessa che vi consacra “degne custodi del focolare e della Patria”, nessun divieto umano potrà togliervi di farla, come le Scolte, dinanzi a Dio e al tricolore d'Italia.
Così, nessuno potrà toglierci di rimanere unite in un vincolo di amore, di ricordi e di speranze, di fede incrollabile; nè di tornare insieme, almeno in spirito, nei luoghi del sacrificio cruento; nè di curare le tombe dei Caduti e cantare l’inno inobliabile del Soldato Ignoto; né mai, alla voce della Patria che chiama, ci potrà esser tolto di rispondere: Presente!
Sorelle e figliuole: lungi da voi, in quest’ora dolorosa, qualsiasi sentimento che non sia conforme allo spirito evangelico della nostra universale Associazione fraterna. Cristiane e Italiane, sappiate, con la purezza e la semplicità della vita, con la bontà dell’animo e delle opere, con la disciplina e col sacrificio, concorrere al bene d’Italia mettendo in pratica, per i fratelli e per la Patria, il nostro motto: Servire.
Oggi e sempre, a voi e ai disciolti fratelli Esploratori, Italia, in alto! Sursum!
"(17)

Diversamente dai clandestini dell’ASCI e del CNGEI, la Giacomelli sembrò accettare lo scioglimento senza grossi traumi: le volontarie, sostenne, dovevano essere paghe "di essere state in Italia pioniere di un movimento quasi di milizia femminile, non snaturatore, ma ritempratore, del nostro sesso"(18) : e chiaramente ammise che le proprie ex-dirigenti prestassero la propria opera nell’ambito del movimento giovanile fascista delle Giovani Italiane.

Infine nel secondo dopoguerra, a 90 anni suonati, la Giacomelli – che, mai sposatasi e rimasta interamente sola, viveva in una casa di risposo - ebbe ancora un nutrito scambio di lettere con padre Ruggi e con Doletta Oxilia dell’UNGEI, sostenendo la necessità che la FIGE (la Federazione tra le due associazioni femminili AGI e UNGEI) si trasformasse in un’unica associazione aperta a tutte le ragazze, senza distinzioni religiose.

Le lettere rivelano anche l’atteggiamento della Giacomelli verso il fascismo. Atteggiamento, all’inizio, di grande speranza: nutrita nel culto della Grande Guerra, essa aveva visto con orrore episodi di reduci e ufficiali sbeffeggiati e insultati dalla reazione popolare post-bellica. Nessuna meraviglia che essa esclamasse di Mussolini: “Quale uomo provvidenziale, e quale prodigio ciò che è avvenuto! Io ho ferma fede che Dio lo assista realmente, perché non si perita di invocarlo” . E’ quasi un’anticipazione della frase di Pio XI su “l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”, successiva alla Conciliazione.

Ben presto, però, le violenze fasciste le aprono gli occhi. Il delitto Matteotti è da essa definito “atroce misfatto” . Il 9 marzo 1925 nota che “siamo tutt’altro che fasciste” . Una settimana dopo teme che il segretario del Fascio di Rovereto, “ottimo giovane che era uno dei miei migliori amici”, influisca negativamente sulle sue richieste di aiuto al Governo, perché “mi ha fatto una scenata e non mi saluta più, per una parola mia antifascista in quanto li accusavo di violenza (e pour cause, mi pare!)” . E il 5 novembre si sfoga con Adelina che il loro vecchio amico don Brizio, “in risposta ad una mia semplice allusione all’impossibilità che una sua amica capo fascista diventi una nostra dirigente – perché siamo agli antipodi – mi dice parecchie sciocchezze a strenua difesa del fascismo” .

Dopo l’approvazione della legge sull’ONB, addensandosi nubi nere su qualunque associazione giovanile non fascista, Antonietta ricevette una lettera del Capo Scout del CNGEI Villetti, “il quale mi scriveva che a Roma si dice, per quanto in via riservata, che tutte le associazioni scautistiche d’Italia verranno sciolte”. Antonietta osservò che le sembrava “impossibile [che] Mussolini voglia infliggere all’Italia l’umiliazione di essere – con la Russia bolscevica - una delle due sole nazioni del mondo nelle quali non è ammesso lo scautismo” e volle correre ai ripari, scrivendo a Mussolini una lettera in cui – senza riferirsi al minacciato scioglimento – gli chiedeva un appoggio per il progettato campo nazionale del Monte Grappa, approfittando per sottolineare gli ideali patriottici dell’Unione .
L'UNGEI fu sciolta il 10 febbraio 1927 per ordine del segretario generale del PNF Augusto Turati. La Giacomelli prese commiato dalle sue sezioni con una nobile lettera:

Avvezze alla disciplina, le nostre piccole schiere si scioglieranno in silenzio. Ma nessuna che – Dirigente, Istruttrice, Giovinetta – sia stata una vera Volontaria verrà meno, ne siamo sicure, allo spirito della nostra Unione, alla Legge […], alla nostra Promessa.
Se dovremo, con fiero dolore, ripiegare e riporre le nostre bandiere, esse rimarranno, fulgide sempre, dinanzi agli occhi nostri. Se non potrete più vestire la vostra austera divisa, la serberete quale cara e ammonitrice reliquia della vostra giovinezza. E se le maggiori fra voi, prossime a divenire aspiranti Fide, non potranno più fare in comune la Promessa che vi consacra “degne custodi del focolare e della Patria”, nessun divieto umano potrà togliervi di farla, come le Scolte, dinanzi a Dio e al tricolore d'Italia.
Così, nessuno potrà toglierci di rimanere unite in un vincolo di amore, di ricordi e di speranze, di fede incrollabile; nè di tornare insieme, almeno in spirito, nei luoghi del sacrificio cruento; nè di curare le tombe dei Caduti e cantare l’inno inobliabile del Soldato Ignoto; né mai, alla voce della Patria che chiama, ci potrà esser tolto di rispondere: Presente!
Sorelle e figliuole: lungi da voi, in quest’ora dolorosa, qualsiasi sentimento che non sia conforme allo spirito evangelico della nostra universale Associazione fraterna. Cristiane e Italiane, sappiate, con la purezza e la semplicità della vita, con la bontà dell’animo e delle opere, con la disciplina e col sacrificio, concorrere al bene d’Italia mettendo in pratica, per i fratelli e per la Patria, il nostro motto: Servire.
Oggi e sempre, a voi e ai disciolti fratelli Esploratori, Italia, in alto! Sursum!

Diversamente dai clandestini dell’ASCI e del CNGEI, la Giacomelli sembrò accettare lo scioglimento senza grossi traumi: le volontarie, sostenne, dovevano essere paghe "di essere state in Italia pioniere di un movimento quasi di milizia femminile, non snaturatore, ma ritempratore, del nostro sesso" : e chiaramente ammise che le proprie ex-dirigenti prestassero la propria opera nell’ambito del movimento giovanile fascista delle Giovani Italiane.

Infine nel secondo dopoguerra, a 90 anni suonati, la Giacomelli – che, mai sposatasi e rimasta interamente sola, viveva in una casa di risposo - ebbe ancora un nutrito scambio di lettere con padre Ruggi e con Doletta Oxilia dell’UNGEI, sostenendo la necessità che la FIGE (la Federazione tra le due associazioni femminili AGI e UNGEI) si trasformasse in un’unica associazione aperta a tutte le ragazze, senza distinzioni religiose.

 

Mario Sica
da Esperienze e Progetti nr 162

Note
(1) Beatrice Pisa, Crescere per la Patria – I Giovani Esploratori e le Giovani Esploratrici di Carlo Colombo (1912-1927), Edizioni Unicopli, Milano, 2000, pp. 364.
(2) A.Giacomelli, Manuale per le organizzatrici, dirigenti e istruttrici dell'UNGVI (già Esploratrici), Rovereto, Tip. Grandi e editore Vallardi, Milano, s.d. [ma 1924].
(3) P.Mazzolari, Antonietta Giacomelli, in "Adesso", 1° gennaio 1950.
(4) Lettera n. 69 (17) del 26 agosto 1926.
(4) Manuale, cit.
(5) Articolo programmatico della sezione di Rovereto, pubblicato sulla "Nuova Libertà" di Bologna, n.10 del 1920, ripubblicato a parte come volantino con la data marzo 1920 e riprodotto nel Manuale, cit., p.XIX. E' il primo scritto della Giacomelli sullo scautismo.

(6) Dopo un anno, relazione della sezione di Rovereto in data aprile 1921, Rovereto, Tip. Grandi, riprodotta nel Manuale, cit., p.XXIV.

(7) A.Giacomelli, Sursum. Libro di preghiere per le giovinette volontarie, Trento, 1926.
(8) A Foxlease l'UNGVI fu rappresentata da Alessandra Giacomelli di Piacenza (non parente di Antonietta).
(9) Lettera a Adelina Del Bono n. 66(10) del novembre 1922.
(10) Lettera n. 67 (16) del 17 giugno 1924.
(11) Lettera n. 68 (5) del 9 marzo 1925.
(12) Lettera n. 68 (6) del 16 marzo 1925.
(13) Lettera n. 68(19) del 5 novembre 1925.
(14) Lettera n. 69 (1) dell’8 marzo 1926.
(15) Sfortunatamente non sono finora riuscito a trovare questa lettera nell’Archivio Centrale dello Stato.
(16) La lettera di commiato è acclusa alla lettera a Adelina Del Bono n. 69 (19) del 13 febbraio 1927.
(17) A. Giacomelli, Ultime pagine, Milano, p. 94.


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