"Ogni tanto,
fortunatamente, penso alla morte, soprattutto quando partecipo ai funerali
di un amico mio.
Nel passato non mi sono mai posto il problema della mia sepoltura, tanto
mi sembrava irrilevante. Ieri, però, ho deciso di lasciar detto
che mi dispiacerebbe esser sepolto a Milano. Non è che ce l’abbia
coi milanesi, brava gente senz’altro. In certi settori sono i
migliori d’italia, ma a seppe lire i morti proprio non ci sanno
fare. Non si può manovrare le bare con la catena di montaggio!
Tu arrivi a Musocco per accompagnare un tuo carissimo amico nell’ultima
“route” e ti trovi improvvisamente di fronte ad una specie
di fossa comune, fonda due metri e lunga cinquanta: man mano che arrivano
le bare vengono calate a distanza uguale una dall’altra, come
in una zona colpita da grave calamità naturale. Verso sera, passa
la ruspa e copre tutti.
Roba da milanesi, che a noi romagnoli fa senso.
Forse lo scatolificio Schiassi, che ho in parrocchia, può sistemare
così in fila la produzione in magazzino, ma mi rifiuto di accettare
che si possa fare altrettanto coi defunti.
In Romagna è vivo il culto dell’individualità, tanto
è vero che si usano ancora molto i nomi strani ed originali e
quando, per poca fantasia dei genitori, uno si chiama solo Giuseppe
o Pietro, allora si vede affibbiare un soprannome colorito, che valorizza
la sua personalità.
Non devono esserci confusioni: se ogni uomo - come dice Chesterton -
è una parola di Dio che non si ripete mai, allora deve avere
un segno distintivo che lo faccia riconoscere con sicurezza tra gli
altri.
Ho sottomano il bando contro il”Passatore” del Commissario
Pontificio per le quattro legazioni. Ogni membro della banda è
descritto con molti particolari somatici, per favorire il riconoscimento
a chi desiderasse collaborare con la giustizia. A fianco di ogni nome
è sempre segnato, in apposita casella il soprannome: Lasagna,
Mattiazza, Teggiolo, Ghigno, ecc. In Romagna si è sempre usato
così perché gli abitanti sono tutti un po’ anarchici
e repubblicani: ognuno è una repubblica per conto suo una specie
di S. Marino in miniatura. Anche dopo la morte c’è il rispetto
dell’individualità: ognuno ha diritto alla “ sua”
buca o alla sua lapide originale, e i cimiteri non danno mai l’idea
di un esercito di morti schierati in attesa dell’ispezione. Casomai
è un esercito di garibaldini: ognuno ha la sua brava divisa fuori
ordinanza ed anche dopo morto deve conservare un certo spirito bersaglieresco.
Vuole infatti la tradizione, che i bersaglieri dopo morti sappiano fare
ancora sette salti.
Qualcuno mi chiederà perché stia facendo questa specie
di dissertazione sui romagnoli passati a miglior vita. È un atto
di doverosa solidarietà verso il mio amico, il mio fratello scout,
le cui spoglie mortali erano ieri laggiù allineate, in attesa
della scarica di terra dell’impietosa ruspa milanese.
Per nascita era metà romagnolo, ma per temperamento molto di
più e mi ha dato molto fastidio vederlo invece sistemato secondo
la rigida e anonima disciplina funeraria ambrosiana.
lo credo che don Andrea, o meglio “ Baden” (da buon romagnolo
si era infatti scelto un soprannome più personalizzato) starebbe
meglio sepolto nel piccolo cimitero di VaI Codera, la dove ognuno, anche
dopo morto, rimane qualcuno e non un numero e una lapide uguale alle
vicine.
Che don Andrea avesse una origine romagnola credo Io si possa affermare
senza dubbi anche senza ripercorrere la storia della sua famiglia.
Basti pensare, per esempio, al soprannome: di Baden tutti sanno che
n’è esistito già uno ma quello si chiamava anche
Powell. Credo che don Andrea da giovane si fosse ispirato proprio al
buon vecchietto fondatore dello scautismo per scegliere il soprannome.
Era un segno d’affetto, di rispetto e di fedeltà che sottolineava
la scelta precisa di uno stile di vita caratterizzante. Il soprannome
per don Andrea era una specie di uniforme che evidenziava i tratti,
già tanto marcati, della sua ricca personalità.
lo ho sempre fatto fatica a chiamarlo “Baden”, preferendo
il nome di battesimo, ma ora mi accorgo che quel soprannome, prima che
per gli altri, era per lui una bandiera, un cappello piumato, un’armatura,
il segno di una fedeltà allo scautismo.
Questa fedeltà romagnola aveva una grande carica di sentimento;
come prova basterebbe ascoltare ancora le note e le parole dei “Canti
di mezzanotte”, di cui Baden fu uno degli autori, e che ebbero
un ruolo importantissimo nel delineare lo stile scout - diciamo così
- dell’ASCI. Vale la pena di ricordare anche che il libretto fu
poi gettato nel dimenticatoio dagli iconoclasti della nuova generazione
politicante, intellettualoide e sessuologa, per sostituirlo con le canzoni
da osteria e della protesta chitarraia.
La fedeltà e l’amore di don Andrea allo Scautismo non potevano
arrendersi alle astuzie della diplomazia; quando le cose presero una
brutta piega egli denunciò il pericolo a chiare parole, a rischio
di diventare impopolare. Divenne infatti un personaggio scomodo a molti
e rifiutato dalle strutture. Questa sua capacità di non scendere
a compromessi fa di lui uno dei personaggi chiave dello scautismo italiano.
L’associazione ha resistito negli anni bui perché qualche
fiaccola è rimasta a indicare il giusto cammino, mentre troppi
capi ed assistenti, per mantenersi un consenso, hanno giostrato tra
la contestazione ed "il riflusso", gestendo tranquillamente
prima l’una poi l’altro.
Tante robuste intuizioni, tante geniali interpretazioni dello scautismo,
e del roverismo in particolare, le ha seminate col cuore don Andrea
a Colico e fortunatamente sopravvivono ancora, sfidando l’usura
del tempo e l’insipienza degli uomini.
Romagnolo nell’anima « Baden » lo era in pieno.
I romagnoli non sono mai stati degli amministratori ma dei pionieri.
La Romagna da sempre è stata una regione di frontiera e non ha
voluto perdere questa sua vocazione nemmeno dopo l’unità
d’Italia. I Romagnoli, eredi dei loro antenati che avevano militato
nella “decima legio” di Cesare, cercarono allora nuove frontiere
nelle grandi lotte sociali, nelle bonifiche e infine, oggi li troviamo
impegnati nell’avanguardia dell’organizzazione turistica.
Una lapide ad Ostia ricorda che le prime bonifiche pontine furono iniziate,
all’inizio del novecento, dai braccianti romagnoli. Dopo un anno
di lavoro il venti per cento erano morti di malaria ma gli altri non
si arresero e rimasero tenacemente sul posto, pur di conquistare un
pezzo di terra da coltivare.
Don Andrea fu sempre un “prete d’assalto”, aperto
a qualsiasi impresa scout. Era capace anche di stare dietro alla scrivania
parrocchiale; tante anime hanno trovato la soluzione dei loro problemi
e la tranquillità della propria coscienza proprio tra le mura
del sùo accogliente ufficio ma era insuperabile in un campo,
in una route o in una operazione di soccorso.
La sua presenza faceva diventare quell’attività di “prima
classe”, degna di diventare storia associativa se non leggenda.
Come non ricordare anche i suoi colpi di mano, i suoi blitz, organizzati
per burla in vari campi nazionali.
E romagnolo non erano forse il suo modo di fare un po’ scanzonato
e il suo parlare ricco di paradossi?
In Romagna, quando s’incontra un amico, in segno d’affetto
gli si da una manata sulle spalle e gli si rivolge un brutto auguraccio.
Chi non conosce il carattere di quella gente rimane esterefatto; c’è
poi da spaventarsi assistendo ad una discussione tra due romagnoli:
ad un estraneo quella animata polemica a voce alta, quei toni violenti,
lasciano ragionevolmente supporre che tutto possa concludersi tragicamente
e invece... terminerà tranquillamente davanti ad una bottiglia
di Sangiovese.
L’irruenza nel parlare, il tono alto della voce, il calore delle
parole, il gesticolare delle mani sono la manifestazione esteriore di
forti convinzioni, che ognuno cerca di manifestare con tutti i mezzi
della propria personalità. I canoni della espressione romagnola
spesso mettono in difficoltà, se non in crisi, chi non li conosce
e non sa che certi modi, qualche volta un po’ rudi, sono il segno
di un animo e non di una animosità di un animo che ha il gusto
della polemica, della difesa dei diritti e di una certa rivolta permanente
verso l’ordine costituito. La Romagna è stata la patria
o il rifugio di molti grandi rivoluzionari, che sapevano parlare col
cuore ed al cuore.
Anche don Andrea ha avuto il gusto della polemica, della battaglia,
magari per la difesa dell’uniforme scout. I suoi articoli sono
sempre stati ispirati ad una rivoluzione permanente interiore ed anche
esteriore, non per distruggere ma per costruire sempre meglio.
A Colico si corre! . I toni romagnoli sono sempre un po’ bersagliereschi
ma a che cosa si ridurrebbe lo scautismo se si sedesse e perdesse la
fierezza del proprio dinamismo e della propria identità?
Ora che don Andrea ci ha lasciati rimpiangeremo certo di non avergli
dato, negli ultimi anni, sufficiente spazio e sufficiente ascolto.
E’ troppo facile e comodo scegliere chi diplomaticamente sa dare
ragione a tutti. Don Andrea era invece un prete scomodo perché
aveva il coraggio di compromettersi e di dire apertamente e di slancio
il proprio parere.
Qualcuno, mi par già di sentirlo, dirà che Baden negli
ultimi anni era stato messo un po’ da parte per non aver saputo
comprendere la nuova situazione giovanile. lo credo che l’avesse
capita fin troppo bene e che le sue reazioni fossero proprozionate al
desiderio di mantenere lo scautismo un movimento di élite e di
controcorrente alle mode dilaganti. Certo don Andrea non ammetteva,
i compromessi e le mezze misure, che oggi ci siamo abituati ad accettare
in nome di una pseudo unità associativa. Voleva che ragazzi ed
adulti fossero fieri ed entusiasti di una scelta scout, capace di dar
loro una marcia in più.
Non aveva simpatia per lo scautismo in blu jeans, sciatto e mimetizzato.
Ce ne fossero ancora molti di preti nello scautismo, poco o niente disposti
al permissivismo ed al possibilismo e capaci di alzare la voce al momento
opportuno!
Don Andrea ce ne ha dato l’esempio: la sua sofferenza, la sua
polemica, l’ardore dei suoi slanci ci assicurano sul suo amore
paterno verso lo scautismo. La sua morte ci lascia un po’ orfani:
abbiamo perso un padre. L’associazione ha molti funzionari, molti
professori, molti « quadri, ‘ ma pochi padri!
Mi è venuta anche la tentazione di paragonare don Andrea a Geremia,
un romagnolo ante litteram . Anche al tempo del profeta il popolo, piuttosto
che ascoltare la sua parola infuocata, che proponeva una vita difficile
ed impegnativa, preferiva rivolgesi a coloro che lo blandivano e lo
accarezzavano con previsioni di tranquillità e di sicurezza.
Don Andrea non era certamente per uno scautismo facile, addomesticato,
che vada bene per tutti.
Rispetto alla parola data, vita rude, chiarezza d’idee, scelte
impegnative e fedeltà alla Chiesa erano le note caratteristiche
del suo ideale scout, un ideale ASCETICO.
Oggi invece si tende piuttosto a proporre uno scautismo sociale, che
accontenti tutti, una specie di ricreatorio. Vuoi i blue jeans nell’uniforme?
Eccoti i jeans. Vuoi le ragazze? Eccoti le ragazze. Camminare è
fatica? allora ci sediamo e facciamo. una bella discussione; e così
via.
Come per Geremia credo che anche per don Andrea fosse una grande sofferenza
vedere in molti posti uno scautismo anonimo, adagiato, seguace di mode
e costumi forestieri, piuttosto che lievito e luce.
Uno scautismo che insegni solo a diventare e a vivere come tutti gli
altri, che renda uguali, non può piacere ad un romagnolo. Uno
scout lo si deve notare subito: per il suo sorriso, la voglia di lavorare,
la competenza, il desiderio di essere utile, il suo stile di comportamento:
deve essere -infatti - avanti e sopra gli altri, altrimenti che esploratore
è?
Per questo mi dispiace che le spoglie mortali del romagnolo don Andrea
Ghetti, uno dei pochi e veri profeti dello scautismo cattolico italiano,
siano diventate un numero qualsiasi di un piatto cimitero milanese invece
di esser sepolte in Val Codera, in alto tra le cime dei monti."
da Esperienze e Progetti
Per
altre notizie su Mons. Andrea Ghetti consultate:www.monsghetti-baden.it