Ed ora
ritorniamo alle teorie di Enrico Fayol e dei suoi amici.
LE TEORIE DI FAYOL
Alcuni uomini
d’azione, strettamente a contatto con la realtà, tanto più
attenti a osservarla in quanto i loro interessi vi erano inclusi, voglio
dire alcuni industriali, hanno pensato, seguendo Enrico Fayol (1), che
dovevano esservi delle leggi nell’arte di ben comandare. E’
alla loro terminologia che io vorrei attingere per tentare di definire
la funzione di capo, le leggi del suo esercizio e le virtù che
essa richiede.
Se l’organizzazione del comando, nel nostro Scoutismo corrisponde
alle esigenze di questa nuova scienza, mentre l’abitudine di servire
sviluppa nei nostri capi le qualità volute, lo Scoutismo meriterebbe
il nome di Scuola di Capi.
La nostra concezione dell’autorità mi sembra molto ben simboleggiata
dal saluto impeccabile del piccolo scout al suo capo: saluto in cui il
«tu» fraterno tempera una rigidità che si sente pronta
a sciogliersi, nelle ore difficili, in un grande slancio d’affetto
e di mutua confidenza.
* * *
In una azione
determinata, la funzione di capo si differenzia specificatamente da tutte
le altre funzioni che possono concorrervi. «L’uomo che comanda
in un affare non è il tecnico, almeno in quanto tale, è
l’organizzatore, personaggio che vale soprattutto per qualità
di carattere, di giudizio, d’imparzialità» (2). Importa
non confondere questa funzione con la capacità tecnica del capo.
Per esempio, un capo riparto, nel suo gruppo, sarà, per certe attività,
istruttore. Questa funzione d’istruttore è differenziata
dalla sua funzione di capo. Un direttore di scuola potrà fare un
corso, allora avrà una funzione professorale, e la sua azione del
momento sarà differenziata da quella di direzione. Il vescovo,
nella sua diocesi, potrà occuparsi personalmente di conferenze
per adulti: allora sarà catechista, teologo, dottore, e la sua
azione si differenzierà da quella di capo del gregge.
La superiorità del capo in quanto capo sarà dunque diversa
dalla sua superiorità tecnica.
«Alle volte, in un salotto - scrive Wilbois parlando del vescovo,
del comandante di nave, di un direttore d’orchestra o di un imprenditore
- meravigliano perché non sono eloquenti…, e nonostante quei
vicini che li schiacciano con le loro superiorità particolari,
si sente che sono essi a muoverli nella direzione voluta»(3) .
La funzione di capo, al di fuori di ogni tecnica speciale, ha per sua
sola missione quella di creare l’unità e di assicurare il
funzionamento dell’organismo destinato ad un’azione definita.
L’atto di comandare ha i suoi tempi psicologici, molto simili ai
tempi dell’atto umano. E’ lo stesso spirito umano che è
in gioco per organizzare e promuovere la vita personale o la vita dell’istituzione.
I tempi del comando sono stati analizzati dal Fayol in questo modo: prevedere,
organizzare, comandare, coordinare, controllare.
PREVEDERE
E’ tale
l’importanza della previsione che, in una sintesi proverbiale, sì
è detto che in essa risiedeva il governo(4) . In effetti, prima
di agire bisogna sapere ciò che si vuol fare: prima dì partire,
sapere dove si vuol andare; la prima cosa è di precisare il fine;
ma qui non si limita la previsione.
Fissato il fine, bisogna pensare ai mezzi per raggiungerlo: scegliere
la strada migliore; confrontare l’esperienza e l’osservazione;
preparare le tappe; calcolare gli ostacoli; tracciare il programma d’azione,
minuzioso all’inizio, appena abbozzato per gli anni che verranno,
per adattarlo alle circostanze e ringiovanirlo senza posa.
E’ molto importante che il capo conservi il dominio dei mezzi. Si
faccia aiutare dai tecnici dell’amministrazione finanziaria; ma
se non li comanda, ne diventa lo schiavo. Questi tecnici giudicheranno
delle spese da un punto di vista contabile che avrà poco a che
vedere con lo spirito dell’iniziativa e i suoi scopi. E’ così
che l’amministrazione delle finanze sterilizza spesso, mi si dice,
le iniziative degli altri ministeri. Il generale De La Porte Du Theil,
grande organizzatore, non cessava di ripetere: «A cominciare dal
momento in cui un capo non amministra più la sua unità,
egli non la comanda più».
Ogni impresa richiede, da parte del capo, immaginazione creatrice. Ma
allo spirito d’invenzione, il capo dovrà aggiungere uno spirito
pratico e un robusto buon senso per armonizzare i risultati ambiti ai
mezzi di cui dispone, e per individuare con coraggio le sue possibilità
e i suoi rischi.
I geni sono diversi: Foch concepisce, prepara, stabilisce tutto da solo.
Joffre ha il talento di farsi ben attorniare: fa preparare parecchi progetti,
li giudica, ne sceglie uno; ma da quel momento lo fa suo, ne prende la
responsabilità e nella sua possente maniera di farlo applicare,
veramente capo.
La mia esperienza della vita scout mi permette di dire che il punto debole
dei giovani capi sta nel sottovalutare l’importanza dei mezzi. Essi
concepiscono nell’euforia dell’entusiasmo iniziative magnifiche;
sono tentati di dimenticare che tra l’intenzione e la realizzazione,
vi è tutto un abisso di possibilità. Quanti capi di riparto
impartiscono ordini che oltrepassano le forze e i mezzi dei loro capi
squadriglia! E chiamano questo aver fiducia in loro: credono che ciò
sia «il lasciar agire» e praticare i metodi attivi. Proprio
per questo è utile ricordare che il capo deve lasciar agire i subordinati,
ma dopo aver dato lui le direttive, i mezzi, in una parola, tutto ciò
che è necessario per riuscire.
Ciò che è vero per le piccole iniziative, lo è ancora
più per le grandi: celebrazioni, raduni, pellegrinaggi. Non bisogna
incominciare più cose di quante non si possano fare, quali che
siano i motivi per credere di fare di più e meglio. Bisogna incominciare
solo ciò che si può fare bene. Naturalmente non è
proibito essere audaci quando si sono messe tante probabilità dalla
propria parte così da poter sfidare la fortuna.
ORGANIZZARE
Avendo fissato
lo scopo, si sa ciò che si vuol fare. Si dovrà ora stabilire
un programma d’azione, domandarsi come ci si dovrà comportare,
da dove si dovrà cominciare, a chi bisognerà fare appello
e quali saranno i mezzi da adottare d’urgenza. Ciò sottolinea
i rapporti tra la previsione e l’organizzazione: la prima non può
tendere più in là di quello ove può andare. Non è
sufficiente immaginare: bisognerà realizzare.
Un piano militare dovrà tener conto delle strade, del materiale,
come nello stesso tempo, dei dispositivi d’attacco. L’industriale,
mentre . pensa agli sbocchi dei suoi prodotti, dovrà preoccuparsi
del terreno su cui si innalzeranno le sue officine, delle macchine che
daranno il miglior rendimento e dei trasporti meno onerosi.
Un capo riparto, consapevole di voler fare degli scouts, non utilizzerà
gli stessi metodi per ambienti diversi e dovrà fare i conti con
le difficoltà materiali: locale, campo, gruppo Amici degli Scouts
che aprano le loro officine per la preparazione dei brevetti o le loro
proprietà per le uscite.
La cosa più ardua, nell’organizzazione, è la scelta
dei collaboratori. Non si hanno sempre sottomano un Colbert, un Turenne,
un Vauban. Il capo realista, lungi dal lamentarsi sterilmente delle imperfezioni
dei suoi subordinati, metterà tutta la sua capacità nell’utilizzarli
secondo le loro possibilità. Questa è la grande arte e anche
la grande saggezza del capo. E’, bisogna dirlo, una terribile prova.
Non si ha che raramente la gente che occorrerebbe. Quanto realismo rassegnato
nella formula d’Aristotele: «Il capo non fabbrica i suoi subordinati
. Li riceve già fatti dalla natura!». E’ l’occasione
di applicare eroicamente il consiglio insistente di Baden-Powell: «Abbiate
fiducia e date delle responsabilità». La pazienza del capo
durerà fino al momento in cui avrà riconosciuto inutili
tutti gli sforzi per formare il suo subordinato: e allora avrà
bisogno di un’altra qualità per separarsene, essa pure rarissima:
si chiama coraggio.
Altre volte, bisognerà che egli sia disposto a riconoscere, nei
suoi subordinati, talune superiorità nei suoi con fronti, e che
sappia invece di temerle, metterle in valore per farle servire alla miglior
riuscita dell’impresa (5).
COMANDARE
O STIMOLARE
Ognuno al suo,
posto, e un posto per ciascuno. Essendo pronta la macchina, si tratta
di metterla in movimento; è qui dove si rivela il vero capo. Bisognerà
che comunichi il suo spirito al tutto, che faccia circolare il proprio
spirito, sostenga lo slancio, tenendo lo sguardo fisso allo scopo.
La cosa più difficile è il saper perseverare ed applicarsi
con costanza, soprattutto con ragazzi e rovers, instabili per costituzione.
San Domenico dava prova, nelle decisioni prese a ragion veduta, di tale
costanza, da non ritornare mai su una decisione resa pubblica dopo matura
riflessione. Mi quanta riflessione e preghiera, che profondità
nella elaborazione, prima di una importante decisione!
La conoscenza degli uomini è massimamente necessaria a colui che
impartisce ordini. Bisogna adattarli alle capacità di ciascuno,
lasciare a quelli che ne sono degni molta iniziativa; e invece, tenere
completamente in pugno coloro che non saprebbero agire da soli, tentando
sempre di trarre il massimo profitto dagli uni e dagli altri. Vi è
tutta una gamma che va dal secco comando fino alla persuasione sottile.
Certi capi sono così maldestri che, appena hanno parlato, i loro
subordinati desiderano fare il contrario di ciò che è stato
loro comandato.
Se si tratta di una grande impresa, il pericolo per il capo sarà
quello di perdersi nei dettagli. Gallieni, dopo aver giudicato di aver
ben riposta la propria fiducia, non voleva più conoscere i dettagli:
«Solamente il fine mi riguarda », diceva al comandante Lyautev.
Ma questa, in ogni stadio dell’azione, è la peggior tentazione.
E’ tanto più sbrigativo e meglio fatto l’agire da soli
che far imparare agli altri come fare! E’ difficile il sapersi far
aiutare; tuttavia è indispensabile per il capo il sapersi liberare
dalle minuzie per pensare all’andamento generale. Come è
stato ben detto: è il capo che farà tutto; ma a condizione
di non fare nulla, e di far fare tutto.
I nostri moderni dirigenti d’industria, quando, formulano questa
regola, sospettano forse di essere in pieno accordo con Sant’Ignazio?
E che ciò che essi pensano si trova riassunto in una lettera scritta
ad un Provinciale del Portogallo nel gennaio 1552?
«Non è compito del Provinciale né del Generale occuparsi
di ogni dettaglio. Conviene meglio alla sua dignità ed è
più sicuro per la sua tranquillità d’animo lasciarne
la cura agli ufficiali inferiori e farne render conto in seguito. lo agisco
sempre così nel mio ufficio, e ogni giorno più traggo vantaggio
da questo principio perché mi sento sollevato da grandi lavori
e da grandi preoccupazioni. Vi raccomando molto di fissare i vostri pensieri
e le vostre cure sugli interessi generali di tutta la Provincia. Se occorre,
occupatevi voi stessi degli affari da regolare domandando il parere di
coloro che voi giudicherete competenti. Ma, il più spesso, evitate
di condurre fino in fondo questi affari. In questo modo, compirete più
lavoro, e lavori più specificatamente in rapporto con la vostra
carica, senza rumore e senza febbre».
* * *
Il capo avrà
la grande preoccupazione di assicurare una buona trasmissione dei suoi
ordini. Un subordinato non deve dipendere che da un solo capo: bisogna
evitare ad ogni costo gli accavallamenti imprevisti. Si vogliono alcuni
esempi?
Un capo riparto riunisce i suoi capi squadriglia. Prescrive loro un’attività:
preparare il menu. I capi squadriglia raggiungono la loro squadriglia,
dividono i vari compiti tra i ragazzi. Il capo riparto, poco dopo, passa
vicino ad una cucina e dice al ragazzo che vi incontra: «Vuoi fare
un servizio per me?». L’altro, da ragazzo disciplinato, si
affretta ad ubbidire.
Ecco una squadriglia che non mangerà all’ora stabilita, dove
potrà insinuarsi il cattivo umore, dove non mancherà di
verificarsi una discussione fra il ragazzo e il capo squadriglia alle
spalle del capo riparto. Tutto ciò perché quest’ultimo
ha disprezzato una regola elementare di comando (6).
Nell’industria, tali incidenti non sono rari. Per esempio, un ingegnere
va da un cliente importante che gli segnala una recente consegna difettosa.
Il rappresentante fa il suo rapporto al servizio commerciale da cui dipende;
ma, passando dal servizio tecnico, parla del reclamo. Il servizio tecnico,
suscettibile in ciò che tocca la fabbricazione di cui ha il controllo,
consulta i suoi prontuari, i suoi rapporti d’officina, afferma che
il reclamo è mal fondato, comunica il suo sdegno al rappresentante
che ritorna dal cliente, forte della sua informazione, per affermare che
la consegna è certamente perfetta.
Nel frattempo, il direttore commerciale, che non ha le medesime ragioni
per difendere ad ogni costo la fabbricazione, ma che, invece, tiene soprattutto
a soddisfare un buon cliente, chiama costui al telefono, gli dice che
non vuol nemmeno far verificare le sue asserzioni e che da ordini perché
il materiale consegnato sia cambiato immediatamente. Il cliente ha appena
riappeso il telefono, che arriva il rappresentante: quest’ultimo
tiene un linguaggio tutto diverso e il cliente si offende, riferisce la
conversazione avuta col direttore commerciale, e la faccenda si complica
inutilmente.
Questi due esempi sono di poco rilievo: ma il sovrapporsi di ordini ha
qualche volta conseguenze addirittura tragiche. Nel Passage de l’Aisne,
il libro di Emilio Clermont, caduto nella Champagne, non si può
seguire senza una stretta al cuore il massacro di un reggimento e, ciò
che è più grave, il polverizzarsi di una possibile vittoria,
non ostante sforzi sovrumani, e tutto ciò perché il generale
di divisione, ignorando la regola del comando razionale, persiste a impiegare
direttamente i battaglioni che passano dinanzi al suo comando, senza che
il comandante del reggimento che li attende sulla cresta dove egli si
batte, ne sia avvertito.
COORDINARE
Dopo aver definito
il fine, riuniti i mezzi per attingerlo, distribuiti i compiti, stabilite
le responsabilità, dato l’inpulso iniziale, bisogna curare
che i vari servizi non dimentichino l’azione collettiva, non si
ignorino fra loro, collaborino con amicizia(7) . Questa pace che deve
far regnare, e che si chiama «tranquillità dell’ordine»,
deriva dalla tranquillità del capo.
Bisogna fare della macchina un organismo vivo, in cui ogni parte lavora
in armonia con le altre, ispirandosi tutte al pensiero del capo. I capi
subalterni lo trasmetteranno, diverso nei suoi modi, immutabile nella
sua intenzione, fino ai gradi più lontani. Dividere il lavoro era
bene; bisogna ora stabilire i collegamenti e gli incontri necessari perché
non vi sia un mosaico di sforzi sovrapposti, ma un , azione moltiplicata.
Sarà questo l’oggetto del quadro di organizzazione.
La complessità delle funzioni vi sarà armonizzata. i rapporti
fra i diversi servizi previsti, e definita la gerarchia che deve esistere
fra essi. Secondo le teorie di Fayol e dei suoi seguaci, il direttore
generale, al quale sarà sufficiente una qualche conoscenza tecnica,
si circonderà di specialisti e di aiutanti che costituiranno il
suo stato maggiore, vero prolungamento della sua personalità. Avrà
sotto la sua azione diretta i suoi capi servizio, responsabili, che agiscono
non più per obbedire a un ordine, ma per lui.
Ma è molto importante che lo stato maggiore, al servizio del capo,
non esorbiti dal suo compito, ingerendosi nella direzione dei servizi.
In assenza del direttore generale, sarà un direttore che lo sostituirà,
e non il segretario generale. E’ un comandante di battaglione che
sostituirà il colonnello e non l’ufficiale di stato maggiore;
sarà un capo riparto che dovrà sostituire il commissario,
in mancanza di un suo aiuto; un capo squadriglia e non un istruttore che
sostituirà il capo riparto.
I rapporti fra i servizi saranno assicurati dalla Conferenza che si tiene
a data fissa dopo esser stata preparata. «Ogni capo espone a turno
l’andamento del suo servizio, le difficoltà che incontra,
l’aiuto che richiede e le soluzioni che propone. Il direttore sollecita
il parere di tutti... dopo la discussione una decisione vien presa...
un verbale redatto» (8).
Al di fuori di questo rapporto fra i capi servizio, comunicazioni eccezionali
sono necessarie per ovviare alla lentezza delle trasmissioni, con la riserva
che i subordinati, così autorizzati a trattare con gli altri servizi,
rendano conto delle loro azioni e dei risultati ottenuti.
E’ facile far il parallelo tra questa organizzazione razionale e
quella dei nostri riparti scouts, avendo il capo riparto al suo fianco
i suoi aiuto-capi, sotto i suoi ordini i capi servizio, che sono i capi
squadriglia e la Conferenza chiamata Corte d’Onore.
Farsi rendere conto, ma anche rendere conto della propria azione ai subordinati,
mi sembra sia tanto più necessario quanto più è cosa
poco praticata. E’ la vera condizione di un vero spirito di lavoro
a squadra.
CONTROLLARE
Dopo aver previsto,
organizzato, comandato, coordinato, il capo deve assicurarsi costantemente
della risposta data dai fatti ai suoi progetti, per operare d’urgenza
le correzioni utili. Che controlli se ha ben riposto la sua fiducia; se,
avendola ben riposta, si è fatto comprendere bene, ciò che
è molto difficile, perché, per ben dare un ordine, bisognerebbe
potersi mettere al posto di chi lo riceverà, conoscere ciò
che egli ignora, immaginare le difficoltà impreviste che incontrerà.
Per quanto un ordine sia stato ben dato, non è eccessivo dire che,
se non se ne controlla l’esecuzione, nove volte su dieci sarà
mal eseguito. Essendosi fatto comprendere bene, resterà da controllare
che gli ordini siano realizzabili.
Non esito a dire che è in questo controllo dell’azione, che
i capi mi sono sembrati sempre molto difettosi nello Scoutismo. Contano
troppo sulla buona volontà, e forse sulla fortuna. Sguinzagliano
i loro subordinati nella natura, con ordini tanto vaghi quanto ambiziosi.
«La squadriglia delle Aquile organizzerà per domenica un
trampolino», senza curarsi dei materiali da procurarsi, né
degli attrezzi necessari. Essi chiamano ciò dar fiducia!
Il capo potrà farsi aiutare nel controllo dal suo stato maggiore,
ma dovrà stare in guardia contro la severità dei suoi inviati,
proclivi a vedere i difetti dell’azione più che le sue difficoltà.
Ricompensare gli uni, spostare gli altri, e il più spesso stimolare,
utilizzare con indulgenza, incoraggiare con mansuetudine, ecco ciò
che corona il ciclo dell’azione del capo. Bisogna saper felicitare
a tempo e saper attendere, per punire, che ogni passione sia spenta.
Se il successo sembra compromesso da resistenze impreviste, il capo è
il solo che non abbia il diritto di commuoversene. Quando tutti saranno
scoraggiati, gli occorrerà ancora, come scriveva nella sua trincea
lo stesso Emilio Clermont, «atteggiarsi in tal modo da dare coraggio
agli altri quando non se ne ha più per se stessi». Insensibile
ai successi come ai rovesci, non lasciandosi esaltare dagli uni né
deprimere dagli altri, non dovrà fare a meno della virtù
della fortezza (9).
Quella virtù che permette di parare il colpo nelle disillusioni
e nelle difficoltà e che dà il suo peso, dice Bossuet, alla
ragione tranquillamente esposta .
Praticherà la franchezza che concilia la fiducia dei subordinati.
Di Ernesto Psichari, i suoi uomini dicevano: « E’ talmente
sincero che si desidera imitarlo ». Cercherà soprattutto
il disinteresse che fa agire nell’interesse generale trascurando
gli onori e subordinando totalmente il suo interesse personale. Verso
ciascun subordinato, se sa vedere in lui una creatura di Dio, praticherà,
non per calcolo, ma spontaneamente, una cortesia, un tale rispetto della
sua dignità d’uomo che lo soggiogherà.
Nei premi, darà a ciascuno una parte equa, e le sue sanzioni avranno
peso solamente se le ispirerà il bene comune, al di fuori di ogni
malumore, fantasia o suscettibilità. Finalmente, è nella
bontà che risiede il segreto di condurre gli uomini. E’ essa
che acquieta e conquista le anime, ottenendo che gli ordini non siano
più subiti o semplicemente eseguiti, ma amati e qualche volta prevenuti.
«E’ molto intelligente, diceva il maresciallo Lyautey di un
residente, ma non farà nulla perché gli manca quella particella
d’amore senza la quale non si compie nessuna grande opera umana».
Miss Vera Barclay raccomanda, in nome della «semplice cortesia»,
di non fare osservazioni ai fanciulli quando si è irritati o impazienti.
Il consiglio vale anche per gli adulti. Quanti capi feriscono inutilmente
i loro subordinati, distruggendo in essi la gioia dello, sforzo e lo spirito
d’iniziativa! «Quel diavolo di Lannes possiede tutte le qualità
di un grande capitano, diceva Napoleone. Tuttavia non sarà mai
grande, perché cede troppo al suo umore quando deve rimproverare
gli ufficiali; non vi è un difetto peggiore per un generale».
Essendo stato riferito ciò a Lannes da Marbot, si corresse e divenne
maresciallo.
Quasi tutti i grandi capi, destinati a costringere all’azione l’inerzia
umana, hanno avuto alle volte delle collere terribili, spontanee o calcolate.
Ma se al di là di questa burrasca impetuosa i subordinati li sanno
buoni, giusti, votati corpo e anima all’impresa comune, essi perdonano.
Il peggio non è l’essere maltrattati, ma il non essere comandati.
* * *
Il capo, è
colui che concepisce con entusiasmo l’opera da fare, decide con
ardore e trascina gli altri con la prontezza della sua scelta.
Questo dono può essere acquistato, in una certa misura. Le virtù
che devono accompagnarne l’esercizio dovrebbero essere coltivate,
non foss’altro, stavo per dire, che per una certa preoccupazione
d’efficienza. Ho visto un capo che possedeva al più alto
grado e per istinto i doni del comando, e che li annullava per la sua
mancanza di grandezza d’animo.
Una sana comprensione della tecnica del comando non può che aiutare
il capo, qualunque sia il suo rango. Quando avrà capito che, dopo
tutto, egli è solo l’uomo di una tecnica speciale, che non
potrebbe far a meno delle altre, ma deve coordinarle tutte, il capo non
sarà più tentato di cedere alla vanità e al gusto
di stabilire da solo tutti gli obiettivi.
Pur avendo in mano degli strumenti animati, il capo non è lui stesso
nelle mani del Creatore uno strumento? E’ l’opera dì
Dio che egli è incaricato di far compiere. Che si tratti di fondare
un’opera, d’animare un’officina o di varare delle navi,
tenterà di entrare in comunicazione col cielo per conoscere a che
cosa lo destina, insieme con i suoi, la volontà sovrana.
Se il capo si definisce moralmente dal coraggio nel prendere le sue responsabilità,
in nome di che lo farà e ne sopporterà le conseguenze? Egli
dona la sua vita e la rischia. Ciò non può essere che al
servizio di un ideale. L’ambizione personale non può assicurare
che una parte di questo coraggio; essa genera la rivalità, gli
intrighi, la lotta contro le superiorità rivali, e compromette
il bene comune.
Il cristianesimo ha generato delle pleiadi di capi nei quali si alleavano
la competenza e un raro dono di sé. La parola del Cristo resterà
fino alla fine dei tempi un appello e un programma: «Io sono venuto
non per essere servito, ma per servire».
Il capo che ha levato lo sguardo verso il cielo per trovarvi il segreto
dell’opera comune non cesserà di domandare, per coloro che
gli sono affidati, i lumi e le grazie di cui hanno bisogno per essere
adatti alle loro cariche.
Il capo dovrebbe essere il primo nella preghiera, capo di guerra e capo
della preghiera, capo del lavoro e capo dell’orazione. Tale fu il
maresciallo Foch. E tale fu il generale Guyort de Salins, uomo di attività
instancabile, d’incredibile disinteresse e di costante preghiera,
colui che, pezzo per pezzo, fece degli Scouts di Francia una grande associazione.
1)Enrico
Fayol era direttore della Miniera dì Commentry quando la Commentry
Fourchambault Decazeville fu condotta alla rovina in seguito alla scoperta
di Thomas Gilcrist che permetteva di defosfare i minerali della Lorena.
Fu chiamato alla direzione generale. Un azionista s’inquietò:
«occorreva un metallurgista, si è scelto un minatore»;
ma, questo minatore possedeva un metodo di amministrazione positiva, chiamato
in seguito «fayolismo», e con le stesse miniere, le stesse
officine, i medesimi procedimenti, le medesime risorse finanziarie, in
poco tempo la società fu salva e da, allora non doveva più
cessare di progredire. Si era trovato un capo.
2)E’ ciò che si è verificato in un altro campo: «Weygand
ha concepito ed eseguito assai presto il suo piano per scacciare il nemico
prima che fosse troppo tardi. Ora, il suo arrivo in Polonia non ha creato
delle risorse nuove. 1 materiali noti mancavano, né gli uomini,
né il coraggio: mancava un capo» (A. Maurois).
3)A. Maurois.
4)Al Consiglio di Stato, in assenza di Napoleone, gli Specialisti di Diritto
discutono a non finire.
5)I vizi nemici della sana previsione sotto l’irriflessione, la
leggerezza, la pigrizia, la sufficienza, la presunzione.
6)Ho visto compromessa nell’industria la carriera di un giovane
Ingegnere per essere riuscito in una trattativa difficile in cui aveva
fallito il direttore generale. Questa sottomissione alle leggi dell’azione,
questa resistenza al suo capriccio e al suo piacere, è la forma
d’umiltà propria del capo.
7)E’ tutto il problema delle Squadriglie nel Riparto e delle unità
nel Gruppo.
8)Enrico Fayol
9)Da non confondersi con la brutalità. Si pensi alla potenza che
emana da «La forza» dello scultore Bourdelle, così
perfettamente placata, calma, padrona dì sé.
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