RACCONTI AL FUOCO DI BIVACCO
LA PRIMA NOTTE DI TENDA
Era la mia prima notte di tenda ed ero partito deciso a furoreggiare, avrei mostrato a tutti chi era Piero, non per nulla soprannominato lo scout fiero.

Il tanto desiderato permesso per partecipare all’uscita me lo ero meritato, infatti, giudicate voi, non è da elogiare colui che con i tempi che corrono lascia la tranquillità dei compiti di scuola per avventurarsi sui monti?

Come volle Dio, andai in uscita col cuore aperto alle più rosee speranze.
Venne la notte e per me scoccò l’ora fatale: la mia prima notte di campo aveva inizio.
La tenda, o meglio, quella che si doveva chiamare tenda, non era che una babelica visione di zaini, uniformi, pigiami, più sette ragazzi che si muovevano con estrema facilità tra tanto trambusto; sette meno uno, e quell’uno solitario purtroppo ero io.
Tutti erano già a nanna, mentre io con le braghe in mano, un cordino sulla testa e con uno scarpone sulla pancia, cercavo disperatamente il sacco a pelo. Stavo per lanciare una serie di ingiurie al campo, al faraone d’Egitto, al professore di lettere e a varie altre personalità, quando il fischio del silenzio mi fermò le parole in gola.

Dopo una decina di minuti di ricerche per fortuna fruttuose, ero a letto anch’io, ma il bello doveva ancora incominciare.
Ci crederete? Dormii venti minuti…quando un lancinante dolore che mi attanagliava la pancia mi fece svegliare di soprassalto. Mi misi a pensare che cosa potessi aver mangiato quel giorno di tanto deleterio da procurarmi queste fitte spasmodiche e, con una certa soddisfazione, pensai che non avevo mangiato nè ferro, nè vetro e neanche sassi; quest’idea mi rassicurò molto, ma come uno spettro apparve nella mia mente annebbiata la maledetta figura di due tavolette di cioccolata mangiate di nascosto prima del fuoco di bivacco.

Erano state quelle le malefiche sabotatrici del mio intestino, erano state loro a rovinarmi la dolcezza del riposo notturno. Mille e mille volte siate maledette, mormorai rimembrando alcuni versi omerici e contemporaneamente ammirando la mia memoria, ma subito dopo mi stupii come con un dolore così forte si potesse pensare proprio ad Omero. A ripensare alla cioccolata, causa di tanti affanni, ebbi uno scatto di malfrenata ira che mi portò seduto artisticamente a terra, quindi mormorai con voce implorante aiuto: Mamma??!!….attesi invano la risposta, quindi richiamai Mamma?!... e mi rispose uno sfacciato russare proveniente da qualche mio fratello scout.
Fu allora che mi ricordai che ero su un monte desolato, mille miglia lontano dalla civiltà. «Il dolore come foco m’invadea » (nuovo plauso alla mia reminiscenza omerica).
Eppure nello zaino avevo un’arma micidiale contro l’acidità, un’arma vecchia quanto è vecchio l’uomo: il bicarbonato. Da quel momento, che vorrei tramandare ai posteri come attimo della scoperta, tutte le mie forze fisiche e morali non ebbero che una nobile altissima meta: il bicarbonato di sodio.

Aprii lo zaino alla tenue luce di una torcia elettrica e vidi uno spettacolo indescrivibile: in quei pochi centimetri cubi di spazio, erano accumulate tutte le cose che il genio umano abbia potuto inventare: libri, spazzole, tegamini, corde, indumenti intimi vari. Il primo gesto che i miei sensi, risvegliatisi dallo stupore, mi spinsero a fare, fu quello di grattarmi penosamente e sconfortatamente la testa.

Quindi, raccomandandomi in piena umiltà al mio Santo protettore, posi mano in quell’impossibile groviglio di aggeggi vari che occupavano l’ordinatissimo zaino. Trovai un orsacchiotto portafortuna che reggeva tra le mani un barattolo di nutella. Persi dieci minuti buoni pensando, con le mani alle tempie, che affinità potesse avere un orsacchiotto con la nutella, il quiz era formidabile e non certo adatto ad una larva di ragazzo quale ero io allora, quindi atteggiai i muscoli del mento e della bocca in uno sbadiglio più eloquente di qualsiasi discorso. Una cosa mi confortava.., quella faccia tosta del mio capo sq. dormiva russando beatamente con la sua testa amabile… sul mio cuscino! Inoltre pioveva a dirotto e sentivo le estremità inferiori decisamente umide.

Stavo per rinunciare alle ricerche, ma l’uomo primitivo, bellicoso e instancabile, che è in me, mi esortò a non abbandonare la battaglia, e con un coraggio che meravigliò me stesso mi buttai a testa bassa e muscoli tesi in un supremo sforzo di volontà, in quel vorticoso labirinto che era il mio zaino. Mentre cercavo disperatamente, mi accorsi che il dolore di stomaco mi era passato: sorrisi, scostai pietre e oggetti vari dal mio letto, tolsi furtivamente il cuscino da sotto la testa del mio capo sq. e tre minuti dopo, alla barba del bicarbonato, dell’orsacchiotto, del dolore di pancia e del genere umano russavo grossolanamente tra quel groviglio di vario materiale.

Dopo dieci minuti suonò la sveglia. A quel sibilo lieve e maledetto atteggiai il volto ad una penosa smorfia di disgusto e sapete cosa feci?... Feci ciò che son solito fare nei momenti di maggiore sfiducia e perplessità: mi grattai lentamente e penosamente la testa.

Piero
 



all'indice del sito

alla pagina dei racconti
CONDIZIONI GENERALI DI UTILIZZO