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RACCONTI
AL FUOCO DI BIVACCO |
UNA FINESTRA
SULL'AVVENTURA |
La
squadriglia Bisonti del V ... 1° aveva ricevuto un preciso «
Ordine di missione » dal capo riparto, per un'uscita di due giorni,
in piena stagione primaverile.
L'ordine parlava chiaro: « Raggiungere, con l'autoservizio di linea (in partenza alle ore 16), la fermata prossima al chilometro 35 della strada provinciale ...; percorrere a piedi ancora 200 metri in direzione sud, poi imboccare il viottolino (sentiero CS »! rosso) che scende a sinistra verso il bosco; fermarsi entro il bosco nella prima radura ed aprire il dispaccio principale (A). Equipaggiamento personale: codice 2. Equipaggiamento di Sq.: codice Alfa. Viveri: razioni Y e H. Biglietti di andata e ritorno per la corriera: tariffa 3. Lasciare sul palo della segnaletica CS21 rosso il contrassegno adesivo della squadriglia per indicarne il passaggio. Tutto aveva funzionato perfettamente fino alla radura. I colori ed i profumi della primavera stimolavano un senso di euforia e di gioia, difficilmente speri-mentabili fuori della vita scout e delle sue avventure in piena natura. La squadriglia si sentiva perfettamente affiatata e capace di affrontare una missione impegnativa. Anche i più giovani non vedevano l'ora di dimostrare le loro capacità tecniche, acquisite ed affinate con impegno costante nelle attività degli ultimi mesi. Il caposquadriglia con autorità piantò il guidone per terra, nel centro dello spiazzo ed estrasse dalla borsa della topografia il famoso dispaccio. Sembrava che anche le cime degli alberi circostanti si piegassero per seguire con curiosità i movimenti degli scouts. Il plico conteneva una carta topografica con sottolineature a colori di alcuni percorsi; una tabella oraria per la giornata; l'indicazione del luogo ove cucinare e pernottare con i ripari di fortuna (poncho e telo-tenda personale); le osservazioni di topografia e della natura da compiere in quel pomeriggio e un altro plico da aprire alle ore 7 del mattino seguente. Il tutto era completato da una riflessione da leggere insieme prima di dormire e naturalmente anche da una « busta soccorso » (con istruzioni in chiaro), da aprire solo in caso d'emergenza. Per il momento tutto sembrava chiarissimo e semplice, per cui la squadriglia riprese il cammino con la convinzione non espressa, ma chiaramente percepibile, che « Adesso faremo vedere noi ai Capi che cosa sanno fare i Bisonti! ». Tutto procedeva regolarmente, anche troppo, ma ... Dopo un quarto d'ora il topografo avvertì che, secondo i suoi calcoli eseguiti sulla carta topografica, ormai il bosco doveva finire per lasciar posto ad un terreno scoperto. Tutti avvertirono in quel momento un cambiamento d'atmosfera: era come se fossero entrati in un ambiente irreale, caratterizzato da uno strano chiarore, come se il bosco stesse veramente finendo, mentre gli alberi, al contrario, diventavano sempre più fitti e diversi dai precedenti. La diversa atmosfera la si percepiva chiaramente anche a fior di pelle, con un senso di disagio. Anche la segnaletica del CAI era scomparsa da un po' di tempo. Il sesto di squadriglia poi s'azzardò a dire seriamente di aver notato delle orme di bisonte. Naturalmente la battuta suscitò una grande ilarità, non molto gradita, a dire il vero, da chi l'aveva pronunciata: il « sesto », infatti, pur essendo giovanissimo, dedicava qualche ritaglio del suo tempo alla raccolta di tracce e ad altre osservazioni naturali connesse, per cui si sentiva, e a ragione, un competente in materia. L'atmosfera intanto sembrava caricarsi sempre più di elettricità. Mentre all'inizio l'attraversamento del bosco aveva suscitato entusiasmo, ora tutti non vedevano l'ora di uscire da quella situazione che, minuto dopo minuto appariva sempre più irreale. Tutti affrettarono inconsapevolmente il passo finché laggiù, oltre gli alberi, finalmente scorsero un chiarore che annunciava davvero la fine del bosco. Gli ultimi metri furono percorsi quasi di corsa. Usciti allo scoperto, gli scouts si sentirono come scaricati dalla tensione precedente e pervasi da una grande calma. Era come rientrare in se stessi dopo una prova estremamente impegnativa. Tuttavia il caposquadriglia, ancora con un certo timore, estrasse la carta topografica, l'osservò attentamente, poi, con comprensibile disagio, dichiarò di non esser in grado di riconoscere il paesaggio: tutto sembrava diverso, molto diverso. Eppure lungo il tragitto precedente nessuno aveva notato un altro sentiero o un'altra deviazione possibile. Il panorama ora visibile non sembrava che potesse collegarsi in qualche modo con quello lasciato all'entrata del bosco, meno di un'ora prima. In lontananza si vedeva anche un fiume, che sulla carta topografica proprio non era segnato; inoltre le nozioni geografiche regionali studiate a scuola escludevano la sua esistenza. Il secondo propose, secondo le regole, di mandare indietro due « volontari » per controllare il percorso compiuto. Nessuno si offrì e la proposta fu subito scartata, anche perché sembrava più prudente non separarsi. Insieme, tuttavia, tentarono di fare una breve ricognizione all'indietro, ma ben presto vi rinunciarono poiché nessuno riusciva più a riconoscere il bosco appena attraversato, sia pure in senso contrario. L'euforia della partenza e la carica elettrica percepita nel bosco lasciarono posta ad un nervosismo diffuso e giustificato, per cui il caposquadriglia chiese a tutti di sistemarsi in cerchio, d'impugnare insieme il guidone e di lanciare l'urlo di squadriglia, come si era usi fare nei momenti difficili. Ristabilita in qualche modo la calma, gli squadriglieri decisero di accamparsi al bordo del bosco e di dormire insieme, costruendo un riparto unico coi teli-tenda personali, uniti tra loro, come varie volte provato nelle riunioni di reparto. Prima che scendesse il buio, il caposquadriglia e il vice, esplorarono con il binocolo tutto quanto era visibile all'intorno, ma non riuscirono a scoprire né una casa, né un traliccio, né altre costruzioni. Non fu difficile procurare della legna secca per cucinare secondo le istruzioni. Il bosco era allo stato selvaggio e non vi erano segni di attività umana. Data l'abbondanza di legna, qualcuno propose di mantenere acceso il fuoco tutta la notte per tenere lontani gli animali selvatici, come raccontato sulle pagine del « Giornale delle avventure e dei viaggi », stampato all'inizio del novecento e ritrovato rilevato tra i libri del nonno. Il caposquadriglia decise per il no, onde evitare « altre presenze » e comunque le occasioni d'incendio. Le preghiere furono recitate molto sentitamente. Vi lascio immaginare come trascorse la notte. Alle prime luci dell'alba erano tutti in piedi e pronti a muoversi con sollecitudine, dopo aver dato una sistemata al terreno. Il solito sesto tentò di far notare che il cielo si era schiarito con anticipo sull'orario normale, ma nessuna fu in grado di rispondere e riprendere l'osservazione per mancanza di recenti esperienze sulle albe primaverili. Il fiume sembrava la meta più ovvia per potersi meglio orientare. Durante l'avvicinamento individuarono anche una sorgentina per rifornirsi d'acqua. Stranamente non appariva curata da mano d'uomo e il terreno circostante, impregnato d'acqua, era segnato da molte e diverse tracce d'animali selvatici, con grande gioia del « sesto », che poteva così confermare la sua osservazione messa in dubbio il pomeriggio precedente. Per procedere era necessario aprirsi la strada attraverso una bassa vegetazione che non mostrava segni di lavoro umano. Come Iddio volle, arrivarono al fiume, che si rivelò più ampio di quanto era apparso da lontano e che non poteva certamente identificarsi con qualcuno dei torrenti che attraversano la provincia di ... . Tutti conoscevano la geografia della propria regione e mai avevano sentito parlare di un fiume di quella portata. « Comunque - disse il « terzo », altro elemento culturale della squadriglia - lungo i fiumi si sviluppano le attività umane e comunque i fiumi sono attraversati da ponti stradali, per cui non ci rimane che seguire il corso ». A questo punto si riproponeva il problema perché occorreva decidere se risalire o discendere il corso d'acqua. Scelsero con il sistema della paglia corta e della paglia lunga. Anche gli ebrei nell'A.T. ricorrevano qualche volta a questo sistema. Le sponde sembravano incontaminate e per quanto tutti avessero intensificato la loro attenzione per scoprire qualcosa, proprio non si notavano costruzioni. « Vuoi scommettere - disse il « terzo » - che siamo capitati in un Parco Nazionale?». « Ma qualche parco? - intervenne il caposquadriglia - nella nostra regione, così vicino a casa, non c'è nessun parco ... ». « Ma neppure un fiume - riprese il « terzo » - eppure il fiume lo abbiamo davanti agli occhi e non abbiamo viaggiato in elicottero. Abbiamo camminato a piedi e non possiamo esserci allontanati tanti chilometri ... ». « Allora, siamo capitati in territorio indiano - intervenne il « sesto », quello delle tracce di bisonte, che non aveva ancora tracciato bene nella sua fantasia il confine tra la realtà e l'immaginazione. Altra risata, ma anche altra raggelata poiché, avendo nel mentre percorso un'ansa del fiume, era loro apparso proprio un accampamento indiano, mod. John Ford. « Giù tutti - ordinò perentoriamente il caposquadriglia - e non fatevi vedere! ». Sulla sponda opposta c'erano proprio i tepee, le donne che lavavano, i cani che scorazzavano, i cavalli nei recinti, i fuochi accesi e un totem. « E ora che facciamo? - fu la domanda rivolta sottovoce da tutti al caposquadriglia, e con maggiore preoccupazione dal « terzo » ... che aveva una chioma alla moda, cioè un po' lunghetta. « Ragazzi mostriamoci tranquilli e pacifici siamo ormai nel 2000, non ci sono più indiani pericolosi. Faranno parte di un circo. Andiamo a chiedere informazioni. Comunque mettete le accette e i coltelli negli zaini, poi cerchiamo un guado ». Intanto la presenza degli scouts era stata notata anche dall'altra sponda e annunciata da un grande abbaiare dei cani. Non tardarono a comparire sulla scena anche degli uomini con l'arco in mano. Dobbiamo riconoscere che la squadriglia, forse per incoscienza o forse per imitare lo zio Zeb di tanti Western, ritrovò il suo spirito e si avviò compatta, guidone in testa, verso il suo destino nel campo indiano. Forse fu quella tranquillità che li garantì presso gl'indiani o forse fu proprio la sagoma del bisonte, disegnata in rosso sul guidone e stranamente rassomigliante ad alcune decorazioni riprodotte sulle tende indiane e sul totem. Qualcosa evidentemente univa gli scouts ai pellirosse di quella tribù. E poi si vedeva che i nostri erano sì dei ragazzi, ma anche abituati a presentarsi con un certo stile, che non so come si chiami in dialetto pellerossa, ma che certamente poteva esser motivo di fiducia anche presso quelle popolazioni nordamericane. Intanto il campo indiano si era mobilitato e i nostri, guardando il fiume, si trovarono a dover passare tra due file d'indiani grandi e piccoli, maschi e femmine, tutti chiassosi.
Annunzio
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È
anche vero che in un piccolo museo etnografico di una cittadina del Wyoming
sono conservate, fin dalla fine dell'ottocento, una pentola di alluminio
ed un'accetta con marchi italiani del nostro tempo, ma ritrovati presso
una piccola tribù indiana che li aveva in uso da tempo immemorabile.
Nello stesso museo è in mostra una antica pelle di bisonte tagliata
in forma quadrata e tinteggiata con colori mimetici, simili a quelli dei
teli-tenda mod. 29 del nostro esercito e usati anche dai Bisonti del V…
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