RACCONTI AL FUOCO DI BIVACCO
 
LE DUE AMICHE
racconto popolare emiliano
 
In una vecchia casa di Montagnana di Sopra, nell’antico borgo, vivevano insieme, da tanti anni ormai, due amiche, Caterina e Luigia. Nate da due famiglie della borgata, avevano visto morire i genitori, partire le sorelle, già spose, verso altri luoghi. Esse non si erano sposate, non si sa perché.
Caterina era alta, robusta, con zigomi sporgenti e voce profonda, quasi maschilé. Era sempre decisa nelle sue risoluzioni, senza mai nulla rimpiangere. Luigia invece era piuttosto delicata, con ossatura minuta, pallida in volto, incerta e schiva. Rimaste sole e in povertà, avevano dapprima ognuna atteso alla sua casa e ai pochi campi avuti in eredità.
La gente del paese le guardava compassionandole, ma istintivamente non dava loro amicizia. Così, sole, esse passarono alcuni anni.
Le due donne però si incontravano quasi ogni giorno quando andavano a lavorare nei loro campi che confinavano. Un giorno Caterina propose a Luigia di trasferirsi da lei, nella sua casa.
Avrebbero fatto un solo focolare, una sola mensa, ed un unico paglione di foglie di granoturco le avrebbe accolte nel sonno della sera. Insieme avrebbero potuto parlare, allontanando la tristezza della solitudine.
Luigia accettò. Sembrò loro di ricominciare da quel giorno la vita.
E da quel giorno furono sempre insieme, nei campi, in chiesa la domenica, alla bottega, al mulino, al caseificio.
Vivevano di poco: un po’ di frumento, degli ortaggi, un po’ di latte e di formaggio ottenuto da due vacche e due pecore che possedevano. Apparivano contente e non avevano bisogno di nessuno. Così passarono tanti anni.
Un giorno però la morte si prese Luigia, la più debole, e la portò con sé.
Prima di partire però Luigia aveva promesso all’amica che sarebbe tornata a trovarla. Una ferma promessa, sigillata dal pianto.
Un pomeriggio Caterina si trovava nel campo, in mezzo al granoturco che
era quasi maturo. All’improvviso le piante di granoturco si agitarono, si urtarono tra loro, producendo un inquietante rumore. Caterina sentì la presenza dell’amica. Un richiamo. Il rumore cessò però subito. Tutto tornò quieto nel campo: solo il cuore di Caterina batteva ancora forte, in uno strano presentimento. Tornò a casa: il campo di granoturco la intimorìva, la rendeva inquieta; la sua casa le avrebbe ridato la pace.
Cenò alla svelta, poi si infilò sotto la coperta, nel suo giaciglio di foglie. Attese il sonno. Invece ecco all’improvviso un colpo alla porta della camera da letto.
La porta si spalancò. Nel vano apparve Luigia, ombra nera, con gli occhi di brage, con le mani rosse di fuoco, sprizzanti faville ogni volta che incontrandosi si battevano fra di loro.
Aveva mantenuto la promessa ed era venuta a trovare l’amica. Caterina era allibita, senza parola, senza fiato, con gli occhi spalancati nella semioscurità.
Luigia lentamente si avvicinò al letto. Guardò fissa l’amica. Poi alzò le lunghe braccia scheletriche, batté insieme le mani da cui uscirono guizzando faville infuocate e pronunciò lentamente queste arcane parole: «Il pane è duro — il coltello non taglia».
Poi si voltò all’improvviso su se stessa, si diresse alla porta, la colpì con la sua mano rossa di fuoco e scomparve. La porta era chiusa ora, ma su di essa appariva l’impronta rossa lasciata da quella mano bruciante.
Di lì a pochi giorni Caterina morì: l’amica l’aveva chiamata. Da quella notte non aveva più parlato, aveva mangiato con fatica, si era improvvisamente stancata della vita.
Le due case di Caterina e Luigia, dopo la loro scomparsa, restarono a lungo vuote.
Nessuno voleva abitarle. Quel segno della mano bruciata spaventava tutti.
Perché quel terrificante segno lasciato da Luigia defunta?

 


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